Per molti anni la valutazione dell’ipertensione si è concentrata soprattutto sulla pressione diastolica, ritenuta un buon indicatore delle resistenze periferiche e quindi del rischio di ipertrofia ventricolare sinistra e danno d’organo. Negli ultimi decenni, però, la ricerca ha ribaltato questo paradigma: nelle principali linee guida internazionali (ESC/ESH, ACC/AHA, NICE) la pressione sistolica è oggi il determinante prognostico principale, soprattutto oltre i 50 anni.
Le analisi longitudinali del Framingham Heart Study hanno mostrato che, nei soggetti >50 anni, la pressione sistolica è un predittore molto più forte di ictus, infarto e mortalità cardiovascolare rispetto alla diastolica. Con l’età aumenta la rigidità delle grandi arterie, in particolare dell’aorta: la pressione sistolica e la pressione pulsata crescono, mentre la diastolica tende a stabilizzarsi o addirittura a ridursi.
Pazienti >60 anni con ipertensione sistolica isolata (PAS 160–219 mmHg). Il trattamento anti-ipertensivo ha determinato:
Per la prima volta si dimostrava in modo chiaro che ridurre la sistolica isolata negli anziani produce un beneficio clinicamente rilevante.
Trial successivi (Syst-Eur, Syst-China) su popolazioni simili hanno confermato una riduzione di ictus intorno al 40% e una marcata riduzione di eventi cardiovascolari maggiori, consolidando il ruolo della sistolica come target prioritario nel paziente anziano.
L’Hypertension Optimal Treatment (HOT) Trial aveva l’obiettivo di definire il valore “ottimale” di pressione diastolica. I risultati hanno mostrato che una riduzione aggressiva della diastolica (<80 mmHg) non comportava vantaggi significativi nella maggior parte dei pazienti, ad eccezione dei diabetici. La riduzione del rischio cardiovascolare risultava legata soprattutto al calo della pressione sistolica, mettendo in discussione il vecchio dogma secondo cui “la minima è quella che conta”.
Numerosi studi sulla Pulse Wave Velocity e sulla funzione aortica hanno evidenziato che la rigidità arteriosa è un potente predittore indipendente di mortalità cardiovascolare. La pressione sistolica e la pressione pulsata riflettono meglio questo fenomeno strutturale rispetto alla diastolica, che diventa meno sensibile in età avanzata.
In altre parole:
Le linee guida JNC 7 (2003) sanciscono in modo esplicito che, negli adulti oltre i 50 anni, una pressione sistolica >140 mmHg è un fattore di rischio più importante della diastolica. Successivamente, lo studio SPRINT ha confrontato un target di sistolica <140 mmHg con un target intensivo <120 mmHg in pazienti ad alto rischio:
Ancora una volta, il beneficio è legato al controllo più stretto della sistolica, non della diastolica.
Il passaggio dalla centralità della diastolica a quella della sistolica è frutto di decenni di studi epidemiologici e trial clinici. Oggi, nella pratica clinica, ciò si traduce in un approccio in cui:
Una gestione moderna dell’ipertensione richiede quindi di “guardare prima alla massima”, senza dimenticare il contesto clinico generale e il profilo di rischio del singolo paziente.
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